9 novembre 1630, l’apice della peste a Venezia

In un solo giorno morirono 595 persone. Ma quella del 1600 non fu l’unica epidemia a colpire la città. Ecco una lunga lista di “Apocalisse”…

 

9 novembre 1630. Una data apparentemente insignificante per la storia di Venezia.
Ma è proprio il 9 novembre 1630 quando a Venezia muoiono 595 persone a causa della peste. Questo mese sarà ricordato come il peggiore del biennio 1630-1631.
La malattia giunge in città l’8 giugno dello stesso anno, quando a Venezia arriva il marchese di Strigis – ambasciatore del duca di Mantova – dando inizio a 16 lunghi mesi di morte.
Dai registri del Magistrato Supremo di Sanità, nel 1630 emergono i seguenti dati sulle vittime causate dalla peste:
Luglio e agosto, 48
Settembre, 1.168
Ottobre, 2.120
Novembre, 14.465
Dicembre, 7.641
Il 15 agosto di quell’anno ben 24 mila persone tra le più ricche abbandonano la città in nell’arco di 48 ore per rifugiarsi nelle ville di campagna. Il 26 ottobre il settantasettenne doge Nicolò Contarini, convinto che l’epidemia sia una punizione di Dio e a seguito di una delibera del Senato avvenuta 4 giorni prima, fa voto alla Vergine Maria per costruire una grande chiesa in suo onore: la realizzazione della Chiesa della Salute viene affidata a Baldassarre Longhena; la costruzione inizierà nel 1631, completata 50 anni più tardi e consacrata nel 1687. Ci si affida al  cielo, insomma. Bisognerà comunque attendere il 21 novembre del 1631 per ufficializzare la liberazione dal contagio, ma la conta finale dei defunti rivelerà cifre incredibili: 46.490 a Venezia, oltre ai 47.746 tra Murano, Malamocco, Chioggia e altre terre adiacenti.
LA PESTE A VENEZIA PRIMA DEL 1630. Purtroppo si potrebbe fare un lungo e dettagliato elenco d’epidemie di peste a Venezia prima del 1630. Secondo fonti storiche, il primo caso accertato pare risalga al 938, seguito da quella del 1.006 sotto il dogado di Pietro Orseolo II. Le cronache fanno poi un salto temporale al biennio 1347-1348, quando la malattia colpì l’Italia e l’Europa intera. Si narra che su 100 appestati, appena 3 o 4 riuscivano a salvarsi. Per dare un’idea dello sterminio provocato dalla malattia, si pensi che il Gran Consiglio passò da 1.250 nobili a 380 e la popolazione veneziana venne per 2/3 cancellata. Fu nel 1348 che venne introdotto il Magistrato Veneto alla Sanità, con la nomina di tre nobili al ruolo di Provveditori alla Sanità. Per ripopolare Venezia, il doge Orseolo invitò le popolazioni vicine, promettendo loro i privilegi dati ai cittadini veneziani purché rimanessero lì per almeno due anni. Buona mossa.
Ma la peste tornò a più riprese: nel 1361, nel 1381 e nel 1382 (morirono 19 mila persone tra cui il doge Morosini), nel 1391, nel 1397, nel 1403, 1411, 1413, 1438, 1447, 1456, 1464, 1468 e 1478…
Ovviamente sorge spontanea una domanda: ma questi benedetti Provveditori alla Sanità servivano a qualcosa oppure no? In realtà sì, perché fu grazie ai loro provvedimenti che i focolai del 1485, 1490, 1493 e 1510 vennero repressi (con tanto di cautele sanitarie applicate persino ai corrieri e alle lettere che venivano cosparse di “profumi” qualora queste provenissero da luoghi sospetti). Ciò però non bastò a contrastare le epidemie del 1523, 1527 e soprattutto del 1556 e 1575. In quest’ultimo caso, analogamente al 1630, il Senato fece erigere un tempio sotto il glorioso nome del Redentore: il 14 luglio del 1577 la città venne dichiarata “libera” dalla peste. 
L’IMMAGINE: PESTE, GUERRA, FAME E MORTE. La foto dedicata non solo a quanto avete appena letto ma al periodo storico che va dal 1500 al 1700, ritrae il dipinto dei quattro Cavalieri dell’Apocalisse di Jacopo Palma il Giovane (1581-1582), oggi nella Scuola Grande di San Giovanni a Venezia. La scena è estremamente concitata e drammatica: a destra siede l’anziano San Giovanni che sembra voler proteggere il libro che sta scrivendo da ciò che accade alle sue spalle. In un turbinio di nuvole e corpi, arrivano i quattro Cavalieri dell’Apocalisse: la Peste sul cavallo bianco regge un arco, la Guerra in armatura sul cavallo rosso, la Fame sul cavallo nero regge una bilancia e infine la  Morte, uno scheletro su un cavallo verde. In basso a sinistra l’inferno, rappresentato come un mostro marino con le fauci spalancate e pronto a inghiottire le vittime che essi mietono.

 

Alberto Sanavia

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Distefano Giovanni, Atlante Storico della Serenissima, Supernova, 2010
  • Frari Angelo Antonio, Cenni storici sopra la peste di Venezia del 1630-31, Tipografia Graziosi, 1830
  • Bianchi Giovanni, Discorso sopra la peste di Venezia del 1630, 1833