Realizzare un’intervista seria al gruppo “Elio e le storie tese” è impossibile. Il loro merito sta nell’autenticità, nell’inimitabilità. Di tanto in tanto, qualcuno ha tentato di togliere loro l’esclusiva, ma è grazie alla loro capacità comunicativa che hanno creato un embargo artistico che è diventato un punto di forza difficile da scardinare. Ecco che – davanti al plotone d’esecuzione della sala stampa – iniziano la loro non-conferenza prendendo le domande, smontandole, giocando con le parole e inducendo i giornalisti a scherzare a loro volta. La loro genialità non sfocia nella macchia perché, ammettiamolo candidamente, sono dei musicisti eccellenti.
“Vincere l’odio” è una canzone che porta il loro marchio, inconfondibile, per certi versi poco trasmettibile in radio, ma sicuramente l’ennesima perla che i fan aggiungeranno alla loro bacheca. Dal 29 aprile partirà il loro tour, che farà tappa il prossimo 21 maggio 2016 al Gran teatro Geox di Padova.
Elio e Faso sono la doppia voce che rende la conferenza uno show. «Siamo gli eredi di Toto Cutugno», esordiscono rispondendo alla domanda che chiedeva loro se fossero interessati ad esportare la loro musica in Russia. «Siamo un esempio di collettività h24 su qualunque argomento. Questo forse è il nostro segreto. Alcuni intenditori di musica hanno ascoltato attentamente il brano presentato a Sanremo e ci hanno dato un responso che ci è interessato molto. Ci hanno detto: “è bello”».
Perché quest’anno non avete portato Magoni al Festival?
«Non lo portiamo a Sanremo per questione di soldi. Economicamente è costoso. E’ dura ammetterlo ma è così».
Cosa vi aspettate da questo Festival?
«Lo abbiamo detto più volte: l’obiettivo è il ripescaggio e oggi ci impegneremo in tal senso. Vogliamo vivere l’emozione di uscire ed essere ripescati».
Come in alcune canzoni, ascoltando al contrario il vostro brano, c’è un messaggio nascosto?
«Capovolgendo il brano, c’è un messaggio nascosto così bene che non l’abbiamo trovato. Però, se ascoltate l’intero album al contrario e al rallentatore, troverete una versione lentissima di “Wish you were here” dei Pink Floyd».
“Vincere l’odio” può essere definito un brano che permette alla bruttezza di vincere sulla bellezza?
«Noi pensiamo che la bruttezza sia bella, basta guardarla dall’angolo giusto. E’ il punto di vista che cambia il significato delle cose».
Elio, hai avuto difficoltà nello scandire le parole di questa canzone? Non è assolutamente facile e anche per questo siete sempre innovativi.
«Noi siamo degli sperimentatori. A volte va bene e altre va male. La mia tecnica per parlare bene si chiama “Acapulco”, cioè scansione perfetta delle frasi. Faso mi aveva consigliato di andare a Scandicci al noto istituto Aldo Feffi per imparare a scandire bene le parole. Ma io uso la tecnica Acapulco».
C’è il rischio che, a proporre sempre cose innovative, si rischi di diventare conformisti?
«Il rischio può esserci ma non c’è il rischio di trovare canzoni simili al Festival di Sanremo. Secondo un nostro attento studio, il 98% delle canzoni del Festival sono identiche. Da voi giornalisti questo nostro modo di fare musica è accettato, ma non è detto che piaccia all’altro 98% degli italiani».
Cosa potete dirci dell’album “Figgata de Blanc” in uscita dal 12 febbraio?
«Ci siamo divertiti a realizzare il disco come non accadeva da tanti, troppi anni. Abbiamo coinvolto nuovamente il produttore dei nostri primi dischi al quale abbiamo dato il nuovo alias “Kromosex”. Soprattutto è la prima volta che siamo riusciti a farlo uscire durante il Festival e non dopo due mesi da cazzoni come eravamo, perdendo quindi tutta l’onda positiva del Festival. Il disco è di colore giallo, quindi è facile trovarlo. Inoltre, in una tiratura limitata di 1.000 copie, è presente un massaggiatore per lei e lui, chiamato “Lelo”. Con questo vogliamo sfatare il mito secondo cui siamo nemici delle donne, anzi. Noi le donne le amiamo così tanto che abbiamo pensato a questa iniziativa esclusiva. Inoltre è un dono perfetto per il prossimo San Valentino».
Elio, è vero che ora sei iscritto a tutti i social network?
«Se siete stati attenti, il mio è stato un esperimento. Ho creato un account su tutti i social ma sono assente dai social. Volevo vedere se mi piacevano ma in realtà non so usarli».
Come mai Rocco Tanica non si è esibito con voi ricoprendo il ruolo d’incursore nel Festival?
«Rocco Tanica non c’è perché si è creato un grosso malinteso. Aveva ormai firmato un contratto capestro che lo obbligava a fare la “rassegna stampa” in questo Festival. Nel corso della giornata però è sempre con noi. E’ un continuo abbracciarci e riabbandonarci, come accade nei rapporti che funzionano per tanto tempo».
Gli applausi, la folla divertita che richiede una foto con loro. Faso si alza e – prima di congedarsi – regala l’ultima battuta. «Voglio dire grazie a Rocco Hunt, perché ho capito che non si dice guagliò, ma guagliù. Questo mi ha cambiato la percezione della vita».
Alberto Sanavia
foto di Maria Elena Schiavon