Il recordman di presenze bianconero ora si dedicherà al beach volley, sua grande passione. I ricordi di una vita in bianconero: «Il mio modello? Stelmach. Ricordo il primo mani-out in serie A ai danni di Meoni. Allenare? Per ora solo sulla sabbia»
Non è per il numero delle gare disputate che verrà ricordato come la bandiera Padova. Andrea Garghella ha incarnato al meglio la figura dell’uomo di squadra. Un atleta capace di adattarsi alle esigenze tecniche richieste dall’allenatore, in grado di fare da collante al gruppo, sempre pronto a dare il massimo in allenamento, come se ogni volta stesse affrontando una finale. Andrea Garghella si può riassumere in una parola: l’esempio.
All’alba dei 33 anni (li compirà a settembre) finisce per lui una lunga avventura iniziata a Padova, quando alla mattina non era necessario farsi la barba. In questa squadra Andrea è diventato maggiorenne ed è cresciuto fino a diventare uomo, “Dottore” e marito. Padova è stata la sua famiglia e – da buon padre di famiglia – ora lascia che siano altri a sognare quello che lui ha potuto realizzare. Promozioni, retrocessioni, cambi societari, momenti bellissimi e tragici. Andrea ha vissuto tutto questo, continuando a navigare col gruppo che mutava sotto ai suoi occhi di stagione in stagione, ma indicando sempre ai nuovi compagni la rotta giusta da mantenere.
In totale le sue gare in bianconero sono state 403. Un numero incredibile, come se per oltre 13 mesi avesse giocato quotidianamente un match con la maglia di Padova, dovendo sempre dare il massimo. Le ore di allenamento, quelle, sono impossibili da contare. Di sicuro Andrea ha dedicato gran parte della sua vita ad una passione che si è trasformata in un mestiere ed ora un’intervista da leggere in pochi minuti potrebbe sembrare riduttiva. Ma il dovere di chi vi scrive è quello di continuare a farlo, anche quando le parole non sembrano bastare mai.
Come ricordi il momento in cui ti dissero che saresti stato aggregato alla prima squadra?
«Non ci fu un momento preciso, nessuna scena epica da film (ride)… la cosa fu graduale. Iniziai il mio percorso nel settore giovanile e, man mano che il tempo trascorreva, sentivo di avvicinarmi alla serie A».
Il tuo esordio in serie A1 avvenne esattamente nella seconda giornata di andata del 2000/01. Sfida tra European Padova e Itas Diatec Trentino.
«Ero davvero giovane. Se non ricordo male, entrai in campo solo per fare qualche servizio. Da lì iniziai ad accumulare quella che oggi chiamano essere la mia “esperienza”».
Qual è stato il tuo giocatore di riferimento?
«Sono sempre stato una persona con i piedi per terra, motivo per cui non ho mai preso a riferimento giocatori con qualità che per me erano inarrivabili. Ovviamente ho sempre guardato ai giocatori con cui avevo modo di rapportarmi di più, ossia i miei compagni di squadra. Ad inizio carriera Krzystof Stelmach è sempre stato un esempio per me».
Per registrare il primo punto in serie A1 dobbiamo andare invece alla stagione 2002/03, nella sfida tra Edilbasso & Partner Padova e Lube Banca Marche Macerata. Era sempre la seconda di andata…
«Quella gara me la ricordo particolarmente bene. Di sicuro feci un muro a Ivan Miljkovic e un mani-out ai danni di Marco Meoni».
A dire il vero realizzasti anche un ace e un altro punto in attacco.
«Questi non me li ricordo… ma murare Miljkovic e fare punto a Meoni, sì. Chi se lo scorda!»
Quali sono i momenti più belli che ti passano per la mente?
«Ce ne sono davvero tanti. Forse ricordiamo sempre meglio i momenti divertenti, perché tendiamo a cancellare i ricordi brutti nella vita, pur sapendo che sono avvenuti. Ad esempio ricordo le cadute di alcuni allenatori. So che può sembrare banale, ma è così. Ripenso a coach “Pupo” Dall’Olio, quando inciampò sulla rete rotolando a terra: scoppiammo tutti a ridere. Stessa cosa con coach Bruno Bagnoli che inciampò su Rob Bontje mentre stava facendo stretching».
Quali sono stati i compagni di squadra più “divertenti”?
«Davvero tanti… da Davide Tovo a Marco Meoni, passando per Domotor Meszaros e Marco Cosimo Piscopo. Più di recente potrei citare Manuele Cricca e Stefano Giannotti. Anche se nei primi anni ci si divertiva di più. All’epoca non c’erano i cellulari o la televisione all’interno del pullman, quindi si creava sempre quel clima di gita scolastica che ti costringeva a trascorrere più tempo assieme. Eri obbligato ad inventarti qualcosa per non annoiarti».
Stai parlando come un anziano…
«Lo so, si corre questo rischio… (ride). Figurati che l’altro giorno la mia nipotina ha chiesto seriamente alla nonna se da giovane parlasse in latino. Capisci? Per la mia nipotina sarà normale pensare che i cellulari siano sempre esistiti. Io li ho visti per la prima volta a 21 anni…».
Qual è il compagno di squadra con cui hai avuto maggiore affinità?
«Ancora oggi ritengo che Davide Tovo sia stato il miglior compagno con cui fare palla a coppia. Con lui abbiamo vissuto un lungo percorso assieme. Se dovessi fare altri due nomi, potrei dire anche Rob Bontje e Mattia Rosso, ma caratterialmente sono una persona che tende ad andare d’accordo con tutti…».
…anche con gli stranieri, giusto?
«Per forza! Sono sempre stato uno dei pochi a parlare inglese in squadra… (ride)»
Qual è stato il momento top e quello più difficile che ricordi?
«La stagione 2007/08 la ricordo come una stagione top. La squadra allestita era davvero forte in ogni reparto. Platenik e Diaz furono presi l’ultimo giorno di volley mercato e furono proprio loro a fare la differenza. Se devo pensare ad una stagione difficile, penso invece al 2011/12, quando ci fu la retrocessione in A2. A livello emotivo, il momento peggiore fu quando appresi la notizia della morte di Arkadiusz Golas, un trauma non solo per Padova ma per tutto il movimento. Certe cose col tempo si superano, ma è sempre difficile accettare la scomparsa di un ragazzo così giovane».
Cosa farà da grande Garghella?
«Continuerà a giocare a beach volley e ad allenare sulla sabbia. Mi hanno proposto di allenare indoor… potrebbe essere un’idea, ma non penso che sia questo il momento giusto per farlo».
Hai sempre subito il fascino del beach volley.
«Mi sono dedicato al beach volley da maggio a settembre di ogni anno. I numeri di questa disciplina sono nettamente in crescita, sia per quanto riguarda il pubblico che per i praticanti. Si può praticare a qualunque età e – a differenza del volley indoor – la sabbia ha il pregio di non essere “traumatica”. Alcuni non giocano a pallavolo proprio per timore di farsi male e il beach volley permette loro di ovviare a questo problema. Con la RealBeach, grazie alla nuova struttura che sorgerà a Villatora (PD), riusciremo ad allenare a beach volley al coperto anche nella stagione invernale in una struttura d’eccellenza. E’ un progetto affascinante».
Hai carta bianca per dire quello che vuoi ai tifosi della Tonazzo Padova.
«Ok. Anzitutto chiedo al nostro tifoso Diego che ritiri il coro che mi aveva dedicato! Non voglio che sia utilizzato per altri giocatori! Inoltre so che la ditta di autoservizi Colcera ha annunciato il “ritiro” del mio sedile in pullman, per cui chiedo che sia ufficialmente ritirato il mio coro e il mio posto in pullman (ride). Comunque ci vedremo spesso al PalaFabris, quindi il mio è un arrivederci a tutti».
Solo per curiosità: qual era il tuo posto in pullman?
«Era la fila in fondo al corridoio».
Intendi dire che tutti e 5 i posti erano tuoi?
«L’avevo ereditata da Davide Tovo. Dopo 403 presenze me lo meritavo, no?»
Alberto Sanavia
Ufficio Stampa Tonazzo Padova
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