Potendosi calare con una capsula del tempo nella realtà della Serenissima, ci renderemmo conto che non tutti i Dogi furono uguali. Ci mancherebbe. Chi governò con i più nobili intenti, chi per potere, chi per voglia di sangue o di denaro. Il fascino della storia, e di riflesso quella di Venezia, sta proprio qui: nelle persone. Con i loro pregi e i loro difetti, da sempre sono gli uomini che hanno contribuito alla costruzione di un mondo che continua ad alimentare curiosità, rivisitazioni e leggende. Questa è la breve storia di un Doge molto lontano dalle figure antiche alla Napoleone Bonaparte o dalle più moderne alla Donald Trump.
TUTTO COMINCIA DA QUI. Cristoforo Moro nasce a Venezia nel 1390 circa e sempre
qui, nel 1471, esala l’ultimo respiro. Con 30 voti favorevoli su 41, succede a Pasquale Malipiero il 12 maggio 1462. Attenzione: che non sia un guerrafondaio è abbastanza chiaro anche se – suo malgrado – proprio dopo la sua elezione deve far fronte ad una sciagurata lotta contro gli ottomani che terminerà con Giovanni Mocenigo solo nel 1479, otto anni dopo la sua morte. Per evitare lo scontro prova a giocare l’allora poco perseguita strada della diplomazia (questa sconosciuta!) partecipando anche alla dieta di Mantova nel 1463 su convocazione di Papa Pio II Piccolomini. Se ad oggi la figura papale è simbolo di pace, Pio II lotta soprattutto con la sua indecisione: guerra o tregua, guerra o tregua? Ovviamente, senza troppo forzare, vince la guerra. Cristoforo Moro le prova tutte per non prendere parte alla crociata, tanto che il capitano navale Vittore Cappello si rivolge a lui così: “Serenissimo Principe, se la serenità vostra non vorrà andar co le bone, la faremo andar per forza, perché gavemo più caro el ben e l’onor de sta tera, che no xe la persona vostra”. Per la serie: pensala come vuoi, ma noi imbracciamo le armi.
LA PARTENZA. Con le spalle al muro Cristoforo Moro non può che accettare, anche se l’aspetto più fragile del suo carattere trapela in una frase pronunciata al seguito di quattro consiglieri che aveva portato con sé per trovare il coraggio di dire: “Voria co mi sier Lorenzo Moro, che xe duca de Candia, asmiragio su una galea, perché… mi no me ne intendo de armade”. Che tenero.
Nel 1464 dal porto di Ancona partono solo 24 galee veneziane e 8 pontificie: degli alleati
nemmeno l’ombra. Ma proprio zero. Come se non bastasse il 15 agosto dello stesso anno il “finto indeciso” Pio II… beh, muore. Cristoforo Moro si trova così da solo a dover fronteggiare il sultano Mehmet in una guerra che nemmeno voleva e che – maledetto destino – lo vede coinvolto in prima linea. Cosa fare? Lo potete immaginare. Saluta i turchi da lontano con la manina e se ne ritorna nella sua Venezia. Una decisione che, negli anni a seguire, costerà alla Serenissima la perdita di Albania, Negroponte e altri territori della Grecia. Niente male.
IL RITORNO. Stanco nel morale e nel fisico, Moro si prodiga nel completamento della chiesa di S. Giobbe (i cui lavori iniziarono nel 1450) a Cannaregio, in una zona del sestiere allora “centrale” nella vita della città ma soprattutto pregna di significati ‘caritatevoli’. Il primo: la presenza del piccolo ospizio eretto lì vicino già dal 1378 per gli indigenti e dal 1428 affidato da Lucia Contarini ai frati per dare vita a quella che sarà poi la chiesa. Il secondo: la stessa intitolazione della chiesa a San Giobbe, protettore dei poveri e dei diseredati, dei ricchi caduti in tentazione e assaliti dalla sventura, dalla miseria, dalla malattia e del dolore. Il terzo: l’amicizia con San Bernardino da Siena che proprio qui esercita la sua parola di fede.
LA SPOGLIAZIONE. Cristoforo è ormai vecchio (superare gli 80 all’epoca era davvero
un bel traguardo) e senza figli. Tre mesi prima della sua morte dona la bellezza di 10 mila ducati per il completamento del luogo di culto, incaricando lo scultore Piero Lombardo alla realizzazione del portale d’ingresso. Tre le statue sopra al portale (di cui oggi rimane solo l’ombra e un corrispondente ferro di sostegno in evidenza): San Ludovico da Tolosa a sinistra, San Bernardino da Siena (ovvio) al centro e Sant’Antonio da Padova a destra (fu proprio a Padova che il Moro si formò da giovane). E il bassorilievo? L’apoteosi francescana: un sole, posizionato al centro, scaglia i suoi dardi infuocati verso gli empi peccatori, trasformandosi in frecce simbolo della pestilenza lanciata da Dio. Ma il paesaggio e le case in sottofondo vengono protette dalla presenza di San Francesco (a sinistra) che esibisce il crocefisso mostrando le stimmate in segno di sacrificio per la redenzione di Cristo, mentre a destra a fare da scudo col suo corpo c’è, altrettanto ovviamente, San Giobbe.
Come da sua volontà, all’interno della chiesa, sotto all’altare dedicato a San Bernardino,
Cristoforo Moro viene sepolto dopo la sua morte: a piedi scalzi e con l’abito francescano. Leggenda vuole che il Moro dell’Otello di Shakespeare s’ispiri proprio a lui, ma oggi quella stele posizionata a terra ci ricorda solamente di quel doge che lo si sente ancora sussurrare… “mi no me ne intendo de armade”.
Alberto Sanavia
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
– Marcello Brusegan, “I personaggi che hanno fatto grande Venezia”, Newton Compton Editori, 2006, Roma.
– Giuseppe Tassini, “Curiosità Veneziane – Vol. 1”, Filippi Editore Venezia, 2009, Venezia.
– Alberto Toso Fei, “La Venezia segreta dei Dogi”, Newton Compton Editori, 2015, Roma.
– Marcello Brusegan, “La grande guida dei monumeti di Venezia”, Newton & Compton Editori, 2005, Roma.
– Marcello Brusegan, “Guida insolita ai misteri, ai segreti alle leggende e alle curiosità delle chiese di Venezia”, Newton & Compton Editori, 2004, Roma.
FOTOGRAFIE
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