Nel 1838 lo storico Fapanni scrive all’amico artista Bosa, fornendo una descrizione di alcuni dipinti più o meno noti di Pietro Longhi, commissionati dal nobile Giovanni Grimani. Ecco il significato di queste opere, alcune finalmente “svelate”
E’ il 22 settembre 1838. Sul numero 38 della rivista “Il Vaglio – Antologia della letteratura periodica” si pubblica una preziosa lettera dello storico e letterato Francesco Scipione Fapanni (di Martellago ma la cui famiglia era originaria di Venezia). Questa è inviata all’amico pittore Eugenio Bosa (1807-1875), che iniziò la sua carriera come scultore per passare poi alla pittura con soggetto storico, specializzandosi nel costume veneziano.
All’interno di questa missiva si descrivono 13 opere del pittore Pietro Longhi, originariamente conservate nella villa Grimani-Morosini e poi trasferite a Ca’ Rezzonico.
Secondo Fapanni, a ordinare tali tele al noto Pietro Longhi (1701-1785) fu “un patrizio delle primarie famiglie veneziane”, ossia Giovanni Grimani, “ritratto più volte nelle amichevoli conversazioni e nelle gioie di un viver signorile, scevro da cure e da tristezze”.
IL BINOMIO GRIMANI-MOROSINI
Elisabetta Morosini (sposata con Paolo Gattenburg), era nipote di Maria Loredana, figlia di Giovanni Grimani del ramo dei Servi e moglie di Francesco Morosini del ramo di Santo Stefano. Le tele saranno ereditate quindi dalla contessa Loredana Morosini-Gattenburg. La sorella di Giovanni Grimani si chiamava Elisabetta e nel 1748 prese marito Lodovico Manin, ultimo doge di Venezia. Dato che la figlia Maria Loredana si sposerà con Francesco Morosini, ecco che quest’ultima famiglia erediterà le opere d’arte dei Grimani.
LA TRIADE GRIMANI-LONGHI-GOLDONI
Il 27 aprile 1750, in occasione delle nozze tra Giovanni Grimani e Caterina Contarini, il celebre commediografo Carlo Goldoni scrive questo sonetto:
“Longhi tu che la mia Musa sorella
Chiami del tuo pennel che cerca il vero,
Ecco per la tua man, pel mio pensiero
Argomento sublime, idea novella.
Ritrar tu puoi Vergine illustre e bella,
Di dolce viso e portamento altero;
Finger puoi di Giovanni il ciglio arciero,
Che il dardo scocca alla gentil Donzella,
lo canterò di Lui le glorie e il nome,
Di Lei la fé, non ordinario vanto;
E divise saran fra noi le some.
Tu coi vivi colori, ed io col canto:
Io le grazie dirò, tu l’auree chiome:
E del suo amor godran gli Sposi intanto”
Ecco che il Longhi – secondo quanto afferma Fapanni – inserirà in 8 dei 13 quadri “una gentil donnina” accompagnata da un “Cavaliere”. Sono forse loro la coppia Contarini-Grimani?
Aldo Ravà, nel suo libro “Pietro Longhi”, unisce il pittore e Goldoni quali interpreti – in arti diverse – di un soggetto a loro caro: la rappresentazione della vita veneziana.
“Di questo mondo egli (Longhi) è il riproduttore fedele e un pochino indiscreto. Tutto è messo in evidenza dal suo pennello preciso e colorito: i sorrisi, gli sguardi, le mosse affettate, le moine adulatrici, le leziosaggini preziose, le riverenze, gli inchini. Egli ci fa scoprire un neo provocante o un impaziente piedino che esce di sotto alla gonna; coglie uno sguardo insistente attraverso l’occhialino, o una confidenza sussurrata dietro il ventaglio; segue il propalarsi rapido e sommesso di un piccolo scandalo, accolto da risa soffocate, rende la cadenza misurata e aggraziata di un passo di minuetto, o il gesto mellifluo di chi declama un madrigale; egli ci insegna come si porta la bauta, come si regge un guardinfante, come si offre una bomboniera, come ci si presenta o ci si congeda; come un perfetto lacchè deve offrire un vassoio di dolci; e tutto ciò con una delicatezza, una facilità, una efficacia ammirevoli. Così Pietro Longhi ritrova finalmente sé stesso e può estrinsecare pienamente le sue doti naturali, arrivando a una tale perfezione d’arte, da meritarsi il nome di «Goldoni della pittura»”.
Prima di andare a leggere la descrizione delle 13 opere direttamente dalla penna di Fapanni, dopo la caduta della Repubblica alcune di queste opere prenderanno il largo verso l’estero come “La strolega” che finirà alla National Gallery di Londra o “La ventola maliziosa” che nel 1923 andrà all’Ermitage di San Pietroburgo.
LE 13 OPERE
Ed eccole qui le 13 opere commentate da Fapanni di cui s’è parlato finora. Nella loro descrizione potrete quindi trovare gli sguardi di quel Grimani e della Contarini che si sono soavemente intrufolati nelle tele di un artista che – 200 anni dopo – sarà ancora ricordato come uno dei grandi pittori veneziani nel mondo.
Curiosamente, delle 13 opere troverete un doppio nome: quello assegnato dal Fapanni nel 1838 e – tra parentesi – quello con cui tali tele sono conosciute oggi.
La visita in tabarro e bauta (La visita in bauta)
“Una gentile donnina, che sarà amoroso soggetto ai primi otto quadri, s’era posta a cucire intorno alcune biancherie, quando un giovine mascherato in bautta (1) se le sedette di fronte. – Chi è desso? lo ravvisi al primo sguardo? – Quell’aria di nota confidenza, ond’è sdraiato sulla scranna (2), le ricche maniche della velada (3), che si scorgono di sotto il tabarro (4), e sopra tutto quegli occhi vivaci che spiccano dalla candida mascheretta, appalesano che la visita misteriosa è del Cavaliere. In piedi, colle sonatine da spinetta (5) sporgenti dalla scarsella, sta il maestro di musica, che alla faccia mostra d’essere un buon giovialone. Frattanto viene col caffè nella stanza un goffo ragazzo dei Grisoni (6): – abbisogna qui forse il caffè perché la graziosa bautta si scopra?”
NOTE
(1) La “bauta” è la tipica maschera veneziana, che consente di mangiare e bere senza essere tolta. La sua struttura, con la parte inferiore allungata orizzontalmente, permette di modificare leggermente la voce da parte di chi la indossa, rendendone più difficile il riconoscimento.
(2) Sedia.
(3) Giubba maschile lunga fino al ginocchio e stretta alla vita da una cintura. Prende anche il nome di “giustacuore”. Velada è una corruzione del termine “velata”. La sua evoluzione negli anni sarà quella della marsina, che poi verrà chiamata più comunemente “frac”.
(4) Mantello a ruota portato lungo fino al polpaccio. Di stoffa pesante, poteva essere reso impermeabile.
(5) La spinetta era uno strumento a tastiera con corde pizzicate simile al clavicembalo. A differenza di quest’ultimo, però, era di dimensione ridotta tale da consentirne un più facile spostamento. Ecco perché tornava molto utile nelle case dei nobili veneziani, in quanto si prestava ad essere spostato in occasione dell’organizzazione di feste.
(6) Quella dei Grisoni era una famiglia patrizia veneziana, estintasi poi nel 1841.
I buzzolai della vecchia (La scuola di lavoro)
“Quanto val sta cestella de buzzolai (1)? Chiede alla vecchia uno che non è il Cavaliere di prima. – I xe biancheti de le muneghe (2), Lustrissimo; tre soldi l’un. – Vorrà egli farne regalo alla bella giovinetta , che gli stapresso cucendo una camicia? Ma li accetterà ella? Oh i bianchetti de le muneghe si accettano sempre: questi poi della vecchietta devono essere squisiti. E la vecchietta li porge con un tal viso caratteristico, e con un tal atto sicuro della loro bontà, che sarebbe scortesia a non mangiarne. Dall’altro canto attendono al lavoro due brune giovinotte: e nell’alto sta appeso il quagiolo svegiarin (3) delle leste lavoratrici. Una testiera con sopravi una cuffia, e un omo de legno (4) con un abito appeso fanno pur talvolta ragione dell’utilità di quei arnesi”.
NOTE
(1) I bussolà o bussolai sono biscotti tipici veneziani, realizzati con uova, farina e burro.
(2) Monache.
(3) Quagiolo: Coturnice comune e quaglia maschio. Svegiarin: atto a svegliare.
(4) Attaccapanni.
La toelette (La toeletta)
“E’ l’ora dell’abbigliarsi. – Ella in cotolin (1) cilestro sta in piedi dinanzi un piccolo specchio, attendendo la cameriera che le indossi l’abito color di rosa. Da un alto, seduta ad una tavola con bel tappeto, un’altra cameriera assennata pare che approvi l’abbigliamento della signorina, cucindo de’ merletti ad una biancheria. Più indietro, con la chicchera da caffè, il piccolo Grison (2) aspetta il cenno della padrona. Ma questo è momento ben più importante che bere il caffè: – la è una seria consulta collo specchio confidente e colle ascelle ministre”.
NOTE
(1) Gonnellina, in questo caso sottoveste.
(2) Dei Grisoni, famiglia patrizia veneziana, estintasi poi nel 1841.
La ventola maliziosa (La ventola maliziosa)
“E’ una scena spiritosa. Il Cavaliere è sdraiato traversalmente su basso letto. La Signorina, vestita di bianco, siede sullo stesso letto, dalla parte de’ piedi, dinanzi a lui; e stendendogli sul viso la ventola spiegata, lo nasconde per ischerzo al prete sopraggiunto, che lo vorrebbe riconoscere. Il sopraggiunto è grosso e corto, ne dubito che sia un ritratto. Gli sta alle spalle la cameriera sorridente in atto di levargli il tabarro (1). Il letto ha grande testiera rotonda e dipinta con arzigogoli, e sopracoperta verde. – Qui l’occhio del riguardante farà miglior ufficio che la penna dello scrittore”.
Curiosità: ufficialmente il museo Ermitage descrive così la scena, con una variante forse “meno ragionata” di quanto non faccia il Fapelli: “Il contenuto preciso del dipinto dell’Ermitage non è del tutto chiaro. Una ragazza siede sul bordo di un divano, coprendo con il suo ventaglio un giovane sdraiato sullo stesso divano, mentre un uomo grasso (probabilmente suo padre) sembra minacciarla teatralmente. Si tratta probabilmente di personaggi tratti da un’opera del drammaturgo contemporaneo Carlo Goldoni, i cui soggetti sono stati tratti anche dalla vita quotidiana veneziana”.
NOTE
(1) Mantello a ruota portato lungo fino al polpaccio. Di stoffa pesante, poteva essere reso impermeabile
L’ambasciata del Moro (L’ambasciata del moro)
“La gentile biondina (ti ho detto mai, Eugenio, che ella è bionda, con occhi neri, carnagione bianchissima e delicata?) la gentile biondina dunque è vestita elegantemente: – abito candido fiorato, una gorgieretta (1) nera con nastro al collo, fiori al seno. È seduta in aspetto di alcuna festa cui deve intervenire. Arriva intanto il noto paggio, ch’è un Moro, con una lettera: ella la tiene in mano spiegata, e sta pensierosa. – E che ? forse non verrà anch’egli alla festa? Possibile? – Vicino lei lavora una leggiadra rossettina. La furbetta guarda colla coda dell’occhio al foglio, se mai parola le rivela il mistero. Dall’altro lato, una serva fa tacere e carezza non so che puttino ciarliero. E’ a’ piedi il cagnetto che abbaia a quella brutta figura del Moro. Egli, vestito tutto di rosso, con guernizioni di pelo bianco, e berretta bianca in testa accenna alla lettera, e vi aggiunge del suo quel meglio che al momento sta bene”.
NOTE
(1) Striscia di tessuto che si portava al collo, soprattutto in ambito medievale. La sua funzione è ornamentale nelle donne, mentre in ambito maschile la “goletta” era parte dell’antica armatura dei soldati a protezione del collo in caso di attacchi.
Il parere sul libro di lettura (Visita del frate)
“Vestita da estate su grande poltrona a braccioli ella tiene un libro aperto in mano: non legge; aspetta il giudizio del buon frate degli osservanti, che in piedi l’è vicino; ed è certo un ritratto. Egli forse le dice: – Sono ciarle, Signora: non legga quelle ciarle. – Le siede appresso altra giovine matrona, e pare che approvi il giudizio del frate. Di dietro ad esse, indifferente e colla destra al seno entro la velada (1), sta ritto il Cavaliere. Direbbesi che guardi e attenda piuttosto alle ciambelle recate nella guantiera (2) della giovincella”.
NOTE
(1) Giubba lunga o con falde. Si distingue dalla “giacheta”, che è una giubba corta o senza falde.
(2) Vassoio per i pasticcini
L’invito al ballo (Il concerto familiare)
“Graziosissima scena! La bella signorina con abito color canarino, ricco, fluente, colla rosa favorita in testa, coi candidi guanti, è in atto di porsi a ballare, destatavi all’arpeggio della chitarra, che placidamente suona il pingue boemo Giacomo Scumar. Consigliata, anzi spinta confidentemente per di dietro dall’altra vezzosa donnina, invita a ballar seco il magro vecchio severo, seduto in seggiolone, e ravvolto in pelliccia: e già si vede che gli è uno scherzo spiritoso delle due giovani, poste in bellissimo e natural movimento. – Come mai ballare quel rigido vecchione colle gambe di sughero? – Pure un attimo le sorride: e chi non sorriderà all’incanto della bellezza e delle grazie?”
La strolega (La chiromante)
“Sempre leggiadra, ella è travestita in bautta, candido tabarro e cappello; con quella seducente bautta, di cui Lord Byron (1) era perdutamente innamorato. Uscita fuori di casa, si è fatta animosa vicino alla strolega (2) e le chiese… Oh! Ti puoi immaginare ben che. La strolega (come dovevano essere tutte le stroleghe, vecchia, con abito dimesso e cuffione nero) la strolega, dico, lasciata la canna presso al banco, fa certi rustici segni coll’indice sulla palma destra della gentile chiedente. Dietro le sta la fida ancella, tenendole in mano la mascheretta levata. Dall’altra parte un curioso, che fuma, ed uno in bautta ascoltano quelle predizioni – E vi pensa su anch’ella , tenendo incantati quegli occhietti neri vivacissimi – Vi crede forse? – Oh! sta sempre bene a lusingarsi del meglio!”
NOTE
(1) Poeta e politico britannico – amante delle belle donne – che soggiornò a Venezia per tre anni dal 1816, dove frequentò vari salotti tra cui quello di Marina Chiara Querini.
(2) Dal verbo “strolegar”, ossia astrologoare e fantasticare. L’assonanza con il termine “strega” si capisce bene nella descrizione scritta qui dal Fapanni.
Gli alchimisti (Gli alchimisti)
“Come la vezzosa, che interrogava del futuro la strolega, questi tre fanno invece Dio sa! che matta ricerca. Uno di questi, in vesta da camera, mostra una lunga ampolla con un certo liquido, il quale, al meno che sia, dev’essere prodigioso. Attonito, maravigliato, vi guarda per entro il frate osservante cogli occhiali sul naso: sotto il braccio ha un libro, che è l’opera di Raimondo Lullo (1). Per terzo avvi un prete, in arnese pure di confidenza, che sta con grande attenzione ad un fornetto, soffiandovi, e meschiando con un ferro dentro un’olla. Qui vi sono pentole fumanti, ampolle, boccie, carte con geroglifici, e l’orologio da polve, per numerarvi l’ore perdute nel cercare il lapis philosophorum (2). Non so perché, questo soggetto medesimo è copiato da altra mano in un secondo quadro, con piccolissime variazioni: – fosse che l’ordinatore cercasse anche egli il lapis philosophorum? – Ma pare che l’avesse trovato, con assai meno studii, nei dipinti già descritti.
NOTE
(1) Raimondo Lullo è l’italianizzazione di Ramon Llull, missionario e scrittore spagnolo che nei suoi viaggi si spinse pure a Venezia. Scrisse opere di carattere alchemico in cui sosteneva che l’uomo può esercitare sia il bene che il male, ma grazie alla fede può trovare la retta via.
(2) La pietra filosofale, ossia la sostanza catalizzatrice simbolo dell’alchimia e in grado di risanare la corruzione della materia. Non è un caso, dato che Raimondo Lullo è ritenuto autore dell’opera Fugax Vitae, una ricerca interiore della pietra filosofale, simboleggiata con il termine “Vitriol”, visita interiora terra rectifficando invenium occultum lapidem.
Il ballo dei barcaiuoli (La furlana) (1)
“Batti pure il cembalo, bella moretta, che noi balleremo. Betto, barcaiuolo dell’eccellentissima casa, gettata giù la livrea, balla con una giovinetta di sua condizione. Egli è un pantalonaccio con braghesse rosse e sott’abito giallo: – dessa è proprio una fanciulla, che con ingenua semplicità tiene e allarga la cotola (2) fiorata con ambe le mani. Altre due donnine osservano con piacere quel ballo familiare. Sulla tavola presso una boccia di buon vino infonde allegria e moto alla brigata. – Batti, batti pure il cembalo, graziosa testina in bel movimento: non lasciarti fuggire i giorni della gioia e della pace domestica”.
NOTE
(1) La furlana è una danza allegra che grazie a Venezia ebbe ampia diffusione nel nord della penisola italiana e in Francia. Il suo nome deriva dalla probabile regione d’origine, il Friuli, anche se potrebbe essere a sua volta di origine slava.
(2) Gonna.
Le frittelle della sagra (La venditrice di frittelle)
“E’ giorno di festa per l’ingresso del piovan (1) di san Baseggio (2): damaschi e baloni (3) vi pendono dalle case. Le frittelle non mancano mai alle sagre in Venezia. Ne infilza alcune dal catino nello stecco la donna seduta, per darle al galantuomo che le sta dinnanzi. Egli accenna colla destra bastar gliene tre soltanto, così per assaggiarle, e poter dire che sapore avesse la sagra. Al vestito e’ pare un cittadino, e nulla più; come che si scorgono due giovani donne del popolo in bocassin (4) quelle che le stanno osservando. E spero che gliene pagherà un piatto, s’egli è cortesan; tanto più che sopraggiunge il putto con un catino ripieno di quelle inzuccherate delizie”.
NOTE
(1) Parroco
(2) Chiesa presente nell’omonimo campo a cavallo del ‘900, anche se i primi documenti che la citano sono del 1143. Chiusa nel 1810, sarà demolita 14 anni dopo.
(3) Tessuti floreali e palloni.
(4) Gonnella usata dalle donne volgari per coprirsi il volto.
L’insalata al fresco (La merenda)
“Qui siamo a Chioggia: è apprestata la tavola in un orto sulle rive del largo canale: vi si scorgono da lungi le case e un ponte. Ova sode ed insalata è la merenda vespertina. Sono tre le donnine, con graziosi cappellini, nastri, fiori alla testa, e vestito nel costume delle isolane. Una d’esse, avendo già condito l’insalata, la mesce con le forchette: l’altra invita a tener loro compagnia… oh! chi mai? – il Cavaliere appunto, che soprarriva dalla vicina Chioggia, ove fu ben amato podestà (1), ed a cui non sono nuove quelle facce allegre. Io ci scommetto che il sere non vi ricusa: – sono tre matone ed una insalatina, di cui sarebbesi degnato anche messer lo doge”.
Curiosità: secondo altre interpretazioni, la scena potrebbe rappresentare una merenda negli orti dell’estuario veneto, alla Certosa o alle Vignole, dato che il forte nello sfondo potrebbe rappresentare quello di San Nicolò.
NOTE
(1) Il Grimani fu podestà di Chioggia dal 1756 al 1758
Il rinoceronte ai casotti (Il rinoceronte)
“L’ordinatore di questi quadri, amantissimo com’era di tener animali stranieri, avendone un serraglio nella sua villa, si facea poi anche ritrarre quelli che più difficilmente poteva acquistare e mantenere (1). Perciò rimangono da lui ordinati una serie di quadri [Ricordo fra questi i quattro di Carlo Shmank, in due de’ quali sono ritratte due Cavalle, in un terzo un Cavallo intero, e nel quarto un Caprone di Guinea dipinti nel 1774]. Del Longhi però non vi ha che questo solo col rinoceronte, avendovi anzi scritto il proprio nome (locchè non fece negli altri) e l’epoca del 1751 in cui si fece vedere a Venezia questo animale. Mangiando fieno egli è dentro lo steccato dei casotti. Il custode, con una faccia malinconica e propriamente straniera, scuote la bestiaccia collo scudiscio. – Spettatori fra varii altri, la stessa signorina in tabarro e bautta, descritta nella Strolega: da lato il Cavaliere cupidamente attento al bruto bestione”
NOTE
(1) Nello specifico, è ipotizzabile che “in occasione del carnevale del 1751 arrivò a Venezia, dopo una fortunatissima tournée europea, un rinoceronte indiano femmina chiamato Clara. Il proprietario, Douwe Mout van der Meer, un capitano della compagnia delle indie olandesi, l’aveva portata con sé dal Bengala facendone ben presto un’attrazione che fece tappa in tutte le principali città europee fino al 1758, anno della morte di Clara. Questo ritratto del Rinoceronte fu compiuto per Giovanni Grimani come recita il cartiglio sulla destra del dipinto che non a caso possedeva nella sua villa in terraferma una specie di zoo privato con molti animali esotici” (Fondazione Musei Civici di Venezia, Ca’ Rezzonico).
Alberto Sanavia
Fonti bibliografiche:
– Il Vaglio, Antologia della letteratura perdiodica – Rivista – Anno III – Numero 38
– Pietro Longhi – Aldo Ravà – 1909
– Dizionario tascabile delle voci e frasi particolari del dialetto veneziano – Pietro Contarini – 1850
– Luce di taglio: preziosi momenti di una nobildonna veneziana – Filippo Pedrocco – 2002
– Capolavori nascosti dell’Ermitage – Irina Artemʹeva, Giuseppe Bergamini, Giuseppe Pavanello – 1998
– https://www.hermitagemuseum.org/wps/portal/hermitage/digital-collection/01.+paintings/32451